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Articoli

Iperico o Erba di San Giovanni

In epoca medioevale, la notte di San Giovanni, in alcune aree dell’Europa settentrionale si usava dormire con l’Iperico sotto al cuscino, per invocare la protezione del Santo; nei territori del basso Reno si intrecciavano corone di Iperico che, gettate sul tetto delle case, proteggevano uomini, animali e cose. In epoche trascorse si bruciava l’Iperico per cacciare gli spiriti maligni

Per uso interno l'iperico contrasta i sintomi della depressione, ha un potere sedativo, antidolorifico, analgesico.

L'olio di iperico si può applicare poi su piccole ustioni, ferite, pelle secca, funghi, cicatrici, smagliature e in caso di psoriasi.

E' estremamente facile da preparare in casa. Si raccolgono le sommità fiorite, si riempie per tre quarti con queste un vaso di vetro trasparente a chiusura ermetica senza pressare eccessivamente. Si riempie il vaso con olio extra vergine di oliva. Si chiude e si espone al sole per 20-30 gg. Già dopo qualche giorno l’olio assume una intensa colorazione rosso rubino. E’ necessario capovolgere il vaso di tanto in tanto al fine di ottimizzare l’estrazione dei principi attivi. Terminato il tempo di esposizione al sole, si recupera tutto l’olio filtrando con una stoffa sottile travasandolo in una bottiglia di vetro scuro che abbia sempre la chiusura ermetica. L’olio conserva intatte le sue proprietà per circa due anni, purché venga mantenuto sempre ben tappato ed al riparo dalla luce. E’ bene comunque rinnovare la preparazione ogni anno.

http://gianlucapazzaglia.com/blog/blog/30/iperico-erba-di-san-giovanni
creato il 2014-06-24 13:11:31 +0200 modificato il 2014-06-24 13:11:31 +0200 da: Gianluca Pazzaglia
Alternative alla zucchero

Leggendo il nostro blog e la nostra pagina Facebook avrete intuito che osteggiamo lo zucchero…ci sono troppi buoni studi che evidenziano gli effetti negativi del consumo di zucchero per la nostra salute. Eppure molti chiedono consigli sui dolcificanti: Dottore posso mangiare questo, posso usare un po’ di quello?
Sembra proprio che non sia così facile rinunciare al dolce, e allora cerchiamo le soluzioni più sicure.
Escludiamo per prima cosa i dolcificanti artificiali:
•    Aspartame
•    Acesulfame K
•    Saccarina
•    Sucralosio
Semplicemente non ne sappiamo abbastanza: non ci sono studi sugli effetti a lungo termine di queste sostanze che sono così diverse da ciò a cui il nostro corpo è abituato.
Spostiamoci invece su prodotti più sani:
1.    La stevia: da centinaia di anni è stata usata come pianta medicinale e si può piantare sul balcone usando direttamente le foglie come dolcificante. Se si acquista l’estratto bisogna leggere con attenzione l’etichetta ed evitare fra gli ingredienti ad esempio il maltitolo.
2.    Lo xilitolo: non è un dolcificante artificiale ma si trova in frutta e vegetali ed ha un basso indice glicemico.
3.    Il miele: possibilmente grezzo e non filtrato, ha un indice glicemico leggermente più basso dello zucchero ma va comunque usato con estrema moderazione!
In conclusione non è facile abbandonare lo zucchero e a volte qualche sostituzione può aiutare, a ciascuno trovare il proprio equilibrio!

http://gianlucapazzaglia.com/blog/blog/29/alternative-alla-zucchero
creato il 2014-05-26 16:22:47 +0200 modificato il 2014-05-26 16:51:54 +0200 da: Gianluca Pazzaglia
Gianluca Pazzaglia

Nel 1992, presso l’ospedale San Gerardo di Monza, Paolo Lissoni ha condotto uno studio randomizzato su 63 pazienti affetti da tumore polmonare non a piccole cellule, metastatizzato e resistente alla chemioterapia  di prima linea. A un gruppo è stata somministrata melatonina, all’altro solo cure di supporto. La percentuale di stabilizzazioni e di sopravvivenza dopo un anno è stata significativamente più alta nel primo gruppo. Nel 1994, Lissoni ha dimostrato attraverso uno studio randomizzato su tumori solidi avanzati che la somministrazione dell’interleuchina immunostimolante  IL-2 induce una sopravvivenza a un anno del 15,4 per cento, contro il 46,3 per cento se associata a melatonina. Nello stesso anno, un altro studio randomizzato di Lissoni ha messo in evidenza un allungamento della sopravvivenza in tumori solidi con metastasi cerebrali inoperabili usando melatonina, invece delle sole cure di supporto.
Nel 1996, ha effettuato un altro studio randomizzato su 30 pazienti affetti da glioblastoma (un tumore cerebrale), ai quali è stata somministrata radioterapia o radioterapia più melatonina. Nel secondo gruppo, a un anno sono sopravvissute 6 persone su 14, contro 1 su 16 del gruppo trattato con sola radioterapia; anche la tossicità indotta dal trattamento era minore. Ancora Lissoni ha dimostrato, sempre in occasione di uno studio randomizzato in pazienti affetti da tumore del colon metastatizzato e progredito dopo chemioterapia, che somministrando IL-2, a un anno si ha una sopravvivenza del 12 per cento, mentre aggiungendo anche melatonina  si sale al 36 per cento. La melatonina è un potente antiossidante, ma Lissoni sostiene che la sua carenza induce un disordine  neuroimmunoendocrino che crea le condizioni per lo sviluppo del tumore stesso: scarsità di linfociti Th1, che promuovono l’immunità antitumorale, ed eccesso di citochine infiammatorie.
La melatonina  è prodotta  dalla ghiandola epifisi, localizzata al centro del cervello, il cui malfunzionamento è imputabile secondo Lissoni a campi elettromagnetici, stress cronico e depressione. Alcuni studi hanno dimostrato che le donne che lavorano di notte da anni (e che perciò ci si attende abbiano bassi livelli di melatonina) presentano  un livello di rischio per tumore al seno e al colon leggermente più alto, anche se questo non significa necessariamente che la somministrazione di melatonina  aiuti a ridurlo.
Ovviamente, il limite di tutti questi studi è che sono stati condotti su piccoli gruppi di persone, e quasi tutti provengono dallo stesso autore: per avere una conferma dei dati emergenti è necessario approfondire la ricerca.
La melatonina, agendo sul sistema immunitario, potrebbe favorire la progressione di alcuni tumori (come le leucemie e i linfomi) e malattie autoimmuni. Deve prestare attenzione chi assume anti- coagulanti, farmaci per l’epilessia o il diabete, oppure chi è iperteso. La melatonina non deve essere somministrata a donne che hanno intenzione di avere figli, sono già incinte o stanno allattando, perché può avere effetto sugli ormoni  sessuali. Come al solito, prima di assumere melatonina è bene rivolgersi al proprio medico.
http://gianlucapazzaglia.com/blog/blog/28/gianluca-pazzaglia
creato il 2014-04-11 17:23:14 +0200 modificato il 2014-04-11 17:23:14 +0200 da: La melatonina
Il pulsante di cancellazione


Nei momenti in cui ci sentiamo più preoccupati, agitati e inclini al pessimismo come sarebbe bello poter premere un pulsante di reset che cancellasse i nostri pensieri neri! E se ce lo avessimo per davvero questo pulsante? Proviamo ad immaginarlo nel palmo della nostra mano sinistra. Ecco che i nostri pensieri di ansia e preoccupazione iniziano ad impadronirsi di noi, allora ci ricordiamo del bottone e lo pigiamo, al centro del palmo della mano. Lo teniamo premuto e immaginiamo che un segnale parta da questo pulsante, arrivi al nostro cervello e cancelli i nostri pensieri tetri. Facciamo un respiro, contiamo 1 e immaginiamo il numero 1 rosso. Un altro respiro, contiamo 2 e immaginiamo il numero 2  blu. Contiamo 3 e immaginiamo il numero 3 verde. Mentre espiriamo torniamo nel momento presente e scegliamo di affrontare i nostri problemi scegliendo di essere rilassati. Questo esercizio consigliato dal Dr.Goewey http://donjosephgoewey.com non è così sciocco come potrebbe sembrare. Lo stress mette in azione la nostra parte di cervello più primitiva, che reagisce con modalità e strumenti estremeamente limitati. Distraendola e riportandoci ad uno stato di calma possiamo invece accedere alla nostra mente creativa con molte chance in più di risolvere i problemi contingenti. Non resta che provare!

http://gianlucapazzaglia.com/blog/blog/27/il-pulsante-di-cancellazione
creato il 2014-03-11 11:14:46 +0100 modificato il 2014-03-11 11:14:46 +0100 da: Gianluca Pazzaglia
La stagione delle crucifere
Le crucifere sono una famiglia di vegetali che comprende cavolo, cavolfiore, broccoli, cavolini di Bruxelles, verza, rapa e ravanello. Catone il Vecchio, nel suo trattato sulla medicina, scriveva: «Se un’ulcera cancerosa appare sul seno, applicare una foglia di cavolo strizzata, ciò l’allevierà».
Strizzare la foglia ne induce la macerazione, processo che permette di convertire, attraverso l’enzima mirosinasi, il sulforafano glucosinolato in sulforafano, e l’indolo-3-glucosinato in indolo-3- carbinolo (I3C) che, a sua volta, viene poi trasformato dagli acidi gastrici in indolo-3,2-carbazolo (ICZ) e in diindolilmetano (DIM). Sulforafano, I3C, ICZ e DIM sono sostanze in grado di indurre gli enzimi epatici di fase I e di fase II (e quindi di promuovere la detossificazione dai cancerogeni e dagli estrogeni), bloccare il ciclo cellulare e favorire l’apoptosi.
Le popolazioni  la cui dieta tipica include elevate quantità  di crucifere hanno  minor  rischio di sviluppare  tumori. Numerosi studi di laboratorio attestano la capacità di queste sostanze vegetali di inibire la crescita tumorale.  Sarkar è addirittura fautore della tesi che, combinati con la chemioterapia, tali alimenti  possano rappresentare un nuovo approccio contro il tumore  alla prostata, ma mancano ricerche sull'uomo.
Uno studio randomizzato del Louisiana State University Medical Center di Shrevenport ha preso in considerazione donne affette da neoplasia intraepiteliale  della cervice uterina  (CIN), una lesione pre-tumorale, dividendole in tre gruppi: nessuna delle 10 donne alle quali è stato somministrato il placebo ha avuto una regressione completa, al contrario di 4 su 8 nel gruppo che aveva ricevuto 200 milligrammi al giorno di I3C, e di 4 su 9 nel gruppo che ne aveva assunto 400 milligrammi al giorno. Si pensa che l’I3C potenzi gli effetti del tamoxifene nel proteggere dal tumore al seno.
 
http://gianlucapazzaglia.com/blog/blog/26/la-stagione-delle-crucifere
creato il 2014-02-11 11:12:04 +0100 modificato il 2014-02-11 11:13:20 +0100 da: Gianluca Pazzaglia
China Study e diabete

Lo studio pubblicato a settembre 2013  dal JAMA (Journal of American Medical Association) sull’incidenza di diabete e prediabete In Cina mostra dei risultati impressionanti. L'11,6% dei Cinesi ha il diabete, e solo il 3,5% della popolazione sa di averlo e lo cura. Più del 50% dei Cinesi è già, oggi, prediabetico (52,1% degli uomini e 48,2% delle donne).
Parliamo di oltre 110 milioni di Cinesi diabetici, oltre 500 milioni di Cinesi prediabetici (che lo svilupperanno nel giro di pochi anni) e di solo 32 milioni di persone che lo curano.
Il pensiero corre al China Study di Campbell che rifacendosi a dati epidemiologici cinesi degli anni 70 ha affermato che la dieta più sana che si può consumare è una dieta ad alto contenuto di carboidrati.
Le sue tesi sulla correlazione fra proteine e tumore sono state successivamente attaccate proprio sul fronte della correttezza dell’analisi dei dati e del tipo di studio fatto.
Ma forse la risposta più inquietante a quell’assunto la dà questo nuovissimo studio.
Dopo 40 anni, i cinesi dello studio sono cresciuti, e anziché camminare e lavorare nelle campagne hanno iniziato a vivere in città, continuando a mangiare, come tradizione, i loro elevati livelli di carboidrati, riducendo le proteine come Campbell consiglia di fare. Con le conseguenze che lo studio sembrerebbe evidenziare.
A quanto pare la combinazione di elevati carboidrati e stile di vita occidentale con lo stress che lo contraddistingue avrebbe un effetto davvero letale.

http://gianlucapazzaglia.com/blog/blog/25/china-study-diabete
creato il 2014-02-03 10:38:39 +0100 modificato il 2014-02-03 10:38:39 +0100 da: Gianluca Pazzaglia
Aglio e cipolla

Le doti dell’aglio (Allium sativum) sono conosciute da tempo immemore. Sono state rinvenute addirittura tavolette di epoca sumerica che riportano ricette contenenti aglio. Nella Bibbia gli Ebrei, lamentandosi  con Mosè, citano i loro cibi preferiti: «Ricordiamo il pesce che mangiavamo liberamente in Egitto, il cetriolo, il melone, il porro, la cipolla e l’aglio». Sorprendente che tre di questi appartengano al genere Allium (il nome scientifico del porro è infatti Allium porrum).
La cipolla è stata usata in Cina contro i tumori almeno dall’anno 502 a.C.. Nel XVIII secolo, Benjamin Rush, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti, usava aglio misto a ossido di zinco contro le neoplasie cutanee. Il succo d’aglio è stato utilizzato in Texas e California contro varie forme tumorali. Nel XX secolo, l’aglio è stato impiegato in Italia, Francia, Olanda, Egitto, Balcani, India e Cina come rimedio popolare per le infezioni in virtù della sua azione battericida, ma anche per abbassare la pressione arteriosa, l’eccessiva coagulabilità del sangue, il colesterolo e la glicemia, oltre che contro i problemi addominali.
L’incremento del consumo di questi vegetali ha fatto riscontare una minore incidenza di alcuni tumori. Nello Iowa Women’s Health Study, pubblicato sull’American Journal of Epidemiology nel 1994, si è rilevato che, su 127 cibi esaminati, solamente l’aglio era associato a una riduzione tra il 35 e il 50 per cento di alcuni tipi di neoplasie. In una ricerca del 1982 sono state messe a confronto  le contee di Cangshan e Qixia, nella stessa provincia cinese: l’incidenza di tumore allo stomaco nella prima era pari ad appena l’8 per cento della seconda, e l’unica grande differenza tra le due zone consisteva nel consumo di aglio.
Tuttavia, gli studi osservazionali non sono sufficienti a stabilire che non siano stati altri fattori a determinare  la riduzione di incidenza. Sono molto più attendibili gli studi randomizzati, e uno di questi, realizzato a doppio cieco in Cina e pubblicato  sul Journal of the National Cancer Institute nel 2006, ha evidenziato che l’aglio non si è dimostrato utile nel prevenire il tumore allo stomaco. Così, sebbene alcune ricerche siano promettenti, è difficile stabilire l’esatto ruolo di un particolare  cibo nel trattamento o nella prevenzione dei tumori. Ciò è ancora più vero quando l’alimento in questione viene consumato  generalmente in piccole quantità.
Meglio dunque ricorrere a un integratore a base di aglio? Non è detto: l’efficacia di questi prodotti non è ancora stata dimostrata. La scelta più salutare consiste semplicemente in una dieta equilibrata, che contenga molta verdura e frutta, piuttosto che un singolo cibo in grandi quantità.

Meccanismo d’azione
Nell’aglio sono presenti oltre 200 differenti fitocomposti, ma l’attenzione si è focalizzata sui componenti solforati. Questi, in studi di laboratorio, si sono rivelati capaci di bloccare la replicazione delle cellule neoplastiche e di indurne l’apoptosi, come anche di impedire l’attivazione dei cancerogeni, favorire il metabolismo ormonale, spegnere l’infiammazione cronica e favorire la competenza del sistema immune.
Particolarmente interessante è il meccanismo di mancata attivazione dei cancerogeni. Per comprendere il processo, occorre fare un breve cenno al sistema di metabolizzazione delle sostanze che avviene a livello epatico. Nel fegato, una vera e propria fucina metabolica, le sostanze gassose che devono essere smaltite dal corpo subiscono una trasformazione  in due tappe, le fasi I e II di metabolizzazione epatica, al termine delle quali diventano solubili in acqua e possono essere eliminate attraverso le feci e l’urina. La fase I, guidata da enzimi della famiglia dei citocromi P450 (di cui fa parte anche l’aromatasi), termina con la formazione di sostanze spesso pericolose, i radicali liberi, che possono legarsi al DNA e mutarlo. Entrano però subito in gioco gli enzimi di fase II, detti anche «enzimi di coniugazione», che uniscono le sostanze prodotte nella fase I a composti che consentono di veicolarle attraverso gli emuntori (organi di smaltimento,  quali intestino e rene).
Molto spesso le sostanze cancerogene presenti nell’ambiente si introducono nel nostro corpo sotto forma di pro-cancerogeni, che paradossalmente vengono attivati dagli enzimi di fase I, diventando veri e propri cancerogeni. Se gli enzimi di fase II non intervengono tempestivamente, i radicali liberi prodotti si legano al DNA, danneggiandolo.
I composti solforati di aglio e cipolla inibiscono gli enzimi di fase I, riducendo così l’attivazione dei pro-cancerogeni in cancerogeni. In pratica, agiscono sostituendosi ai pro-cancerogeni, fungendo da substrato dell’azione degli enzimi di fase I. In una parola, si fanno metabolizzare al loro posto. Secondo altre teorie, invece, avrebbero la capacità di stimolare gli enzimi di fase II.

Effetti collaterali
Proprio per le azioni sopra citate, la contemporanea somministrazione di aglio e chemioterapici potrebbe alterare il metabolismo di questi ultimi, riducendone i livelli plasmatici e quindi l’efficacia. Per la sua capacità di fluidificare il sangue, l’aglio non deve essere usato da chi assume antiaggreganti o anticoagulanti. Infine, utilizzato in grandi quantità, può irritare l’apparato digerente.
 

http://gianlucapazzaglia.com/blog/blog/24/aglio-cipolla
creato il 2014-01-21 12:05:16 +0100 modificato il 2014-01-21 18:10:25 +0100 da: Gianluca Pazzaglia
Malva sylvestris

NOME LATINO: Malva sylvestris L.
NOME COMUNE: Malva
FAMIGLIA: Malvaceae
DESCRIZIONE SOMMARIA: pianta erbacea biennale o più spesso perenne con una radice a fittone biancastra e di consistenza carnosa; il fusto, alto fino ad un metro, può essere sdraiato sul terreno o eretto. Le foglie sono tondeggianti o reniformi e divise in tre-cinque lobi triangolari, il margine è inciso da numerosi denti. La loro superficie presenta peli semplici e peli ramificati. I fiori, riuniti in numero di due-sei all’ascella delle foglie superiori, hanno un peduncolo lungo alcuni centimetri. La corolla presenta cinque petali rosati. Il frutto si presenta di forma tondeggiante, con la superficie esterna rugosa di colore giallo o marrone chiaro.
HABITAT: la Malva è comune dalla zona mediterranea a quella submontana; si rinviene frequentemente nei luoghi erbosi, nei ruderi, lungo le strade e nei campi abbandonati.
PARTE UTILIZZATA A FINI OFFICINALI: fiori e foglie.
COSTITUENTI PRINCIPALI: mucillagine, tannini, antociani (malvina e malvidina), flavonoidi e polisaccaridi.
TOSSICITÁ: la letteratura non segnala effetti secondari e tossici alle dosi terapeutiche, a meno che non vi sia una particolare sensibilità individuale.
ATTIVITÁ PRINCIPALI: emolliente ed antinfiammatoria; antitussiva; cicatrizzante.
IMPIEGO TERAPEUTICO: la Malva è sinonimo di sostanza emolliente in virtù del contenuto in mucillagini: i fiori e le foglie, mucillaginosi, esercitano un’azione lenitiva sulle mucose infiammate. Da sempre utilizzata come blando lassativo, la Malva è un valido regolatore intestinale per anziani e bambini, importante per l’attività di protezione che esercita a livello della mucosa intestinale infiammata. I fiori di Malva sono un rimedio assai efficace nel favorire l’espettorazione e nel calmare la tosse: esercitano un’azione lenitiva a livello delle mucose bronchiali. L’uso esterno della pianta è in funzione dell’attività antinfiammatoria, lenitiva, astringente, vasoprotettrice che la rende particolarmente utile nel trattamento di mucose irritate, gengive sanguinanti, congiuntiviti, ecc.
CLASSIFICAZIONE MINISTERIALE: Tabella B (fiori e foglie).
CURIOSITÁ: La malva, per le sue innumerevoli proprietà, nel 1500 era chiamata "omnimorba = rimedio per tutti i mali" e tutt'oggi in erboristeria è sicuramente la pianta medicinale più venduta. L'imperatore Carlo Magno volle che nel suo giardino venisse coltivata, in un'aiuola particolare, dove si raccoglievano foglie, radici e fiori per la preparazione di tisane e decotti destinati a curare i membri della famiglia imperiale.
In Egitto la malva è ingrediente di un piatto nazionale, pasto comune dei contadini, la melokia.
Nel linguaggio dei fiori significa pacatezza.
Nel passato negli alpeggi dell'altopiano di Asiago, i montanari, la chiamavano "pappala" o "malbe" e la impiegavano per impedire l'irrancidimento del latte.
Da questa pianta o meglio dal colore dei suoi fiori, l'origine del colore detto "malva".
USO GASTRONOMICO:
Infuso di Malva – 1 l di acqua, una manciata di foglie e fiori di malva, zucchero o miele. Preparate un infuso con i fiori e le foglie di malva, freschi oppure essiccati, ponendoli nell’acqua bollente. Lasciate riposare per 10 minuti, filtrate accuratamente, quindi dolcificate con zucchero o miele a piacere. L’infuso di malva presenta azione lenitiva, lassativa ed antinfiammatoria.

http://gianlucapazzaglia.com/blog/blog/23/malva-sylvestris
creato il 2014-01-20 13:15:46 +0100 modificato il 2014-01-20 13:16:05 +0100 da: Gianluca Pazzaglia
A piena mente!

Gli inglesi parlano di “mindfulness” cioè letteralmente “mente piena”, pienamente presente. I ritmi della vita ci spingono sempre a proiettarci sul futuro, a sbilanciarci in avanti. Ma in questo modo perdiamo di vista il presente, che è la dimensione che realmente ci appartiene, e che invece troppo spesso viviamo distratti, con la mente altrove. Non ci conviene: proviamo a contrastare questa tendenza rallentando un po’ la nostra velocità, facendo una cosa per volta.

Ad esempio mentre guido osservare quello che ci circonda, fare dei respiri profondi, mangiare lentamente senza fare altre cose contemporaneamente ma con la mente “piena” di ciò che sto facendo in quel momento!.

http://gianlucapazzaglia.com/blog/blog/2/piena-mente
creato il 2012-06-12 21:45:53 +0200 modificato il 2014-01-15 15:19:49 +0100 da: Gianluca Pazzaglia
Vitex Agnus castus

Di recente mi è capitato di visitare un orto botanico e di trovarmi davanti un vero esemplare di agnocasto. E’ una pianta così bella e così utile per la donna,  perché è in grado di inibire la produzione di prolattina, che è un potente stimolatore dell’aromatasi. Inoltre pare incrementare la produzione di LH (Luteinizing Hormone), l’ormone ipofisario che induce l’ovaio a produrre progesterone. Questo significa che in modo assolutamente fisiologico, senza alcuna azione ormonale diretta e senza perturbazioni dell’equilibrio endocrino, il vitex agnus castus può risolvere i problemi mestruali di moltissime donne.

Parallelamente è un rimedio indicato per i disturbi della sindrome premestruale, come mal di testa, gonfiore diffuso, tensione mammaria, depressione e irritabilità.

Potrebbe sostituire in molti casi la pillola anticoncezionale quando è usata per risolvere problematiche relative al ciclo mestruale.
Si tratta di un rimedio “naturale” che non ha funzione anticoncezionale e per il quale vale comunque il consiglio di evitare il “fai da te” e consultare il proprio medico di fiducia.

http://gianlucapazzaglia.com/blog/blog/1/vitex-agnus-cactus
creato il 2012-06-11 21:47:03 +0200 modificato il 2014-01-14 11:58:03 +0100 da: Gianluca Pazzaglia
Le proprietà antitumorali della curcumina

Il composto attivo della curcuma, spezia molto utilizzata nella preparazione del curry, è impiegato nella medicina tradizionale cinese e indiana per una moltitudine di problemi fin dal VII secolo a.C.
La curcumina  inibisce la cicloossigenasi-2 e pertanto esercita un effetto antiproliferativo, antiangiogenetico, pro-apoptotico e di inibizione della migrazione cellulare neoplastica in vitro e in modelli animali (Shanker 2008, Kunnumakkara 2007). La curcumina, inoltre, inibisce gli enzimi
epatici di fase I e attiva quelli di fase II, bloccando perciò l’attivazione dei cancerogeni.
In modelli di laboratorio, la curcumina uccide le cellule tumorali, rallenta la crescita di quelle sopravvissute e riduce le dimensioni e lo sviluppo dei tumori animali. Osservazioni epidemiologiche mettono in evidenza che le popolazioni che consumano più spezie tendono ad avere una minore incidenza di neoplasie. Mohandas e Desai attribuiscono la riduzione della frequenza del tumore all’intestino in India al consumo di curcuma. L’impiego topico in 62 pazienti con tumore  cutaneo ha dato un certo grado di sollievo della sintomatologia, e nel 10 per cento dei casi una riduzione delle dimensioni della neoplasia. La curcuma, inoltre, è stata testata sulla prevenzione della recidiva dei polipi del colon, con grande efficacia dopo 6 mesi di integrazione, insieme con la quercetina .
Tuttavia, mancano studi randomizzati a doppio cieco, e sembra che per ottenere livelli plasmatici efficaci di curcumina occorra usare dosaggi molto elevati. Una riduzione della dose può essere ottenuta somministrando contemporaneamente pepe nero, ma si possono comunque verificare disturbi gastro-intestinali, reazioni allergiche o interazioni con anticoagulanti, antinfiammatori e immunosoppressori. Infine, l’integrazione di curcumina può interferire  con chemio e radioterapia.

http://gianlucapazzaglia.com/blog/blog/22/le-propriet-antitumorali-della-curcumina
creato il 2014-01-13 10:55:08 +0100 modificato il 2014-01-13 10:55:08 +0100 da: Gianluca Pazzaglia
Le proprietà antitumorali del tè verde
Sia il tè verde sia quello nero sono ottenuti dalle foglie di un’unica pianta, la Camellia sinensis. Differiscono però per il tipo di lavorazione che subiscono: quelle destinate a ottenere il tè nero sono fatte fermentare o, più precisamente, sottoposte a ossidazione. Gli elementi antiossidanti del tè, quindi, scompaiono dopo il processo di elaborazione. Le foglie destinate a ricavare il tè verde, invece, vengono bloccate immediatamente nella fermentazione tramite appassimento  a calore, evitando così che possano avviare la fase ossidativa; sono poi lavorate in vari modi e, da ultimo, essiccate. Per questo rimangono verdi e l’infuso ha un colore chiaro e un sapore tipicamente amarognolo.
Il tè nero che troviamo oggi in commercio proviene principalmente da piantagioni in Africa, India, Sri Lanka e Indonesia, mentre quello verde viene importato dai Paesi orientali come il Giappone e la Cina. Iniziano a diffondersi in Italia anche prodotti più ricercati, come il tè bianco, il più raro, pregiato e costoso: in questo caso, le foglie sono semplicemente essiccate, senza passare attraverso ulteriori lavorazioni. Altre varianti, come il tè rosso (oolong) e giallo, sono invece parzialmente fermentate.
Il tè possiede proprietà antitumorali che, proprio a causa del processo di produzione, si possono trovare soprattutto nel tè verde e in quello bianco, ricchi di polifenoli (le catechine), tra i quali il più importante è l’epigallocatechingallato (EGCG). In studi di laboratorio, si è rilevato che il tè verde è in grado di inibire i citocromi P450 (come peraltro fa l’aglio), ossia la famiglia di enzimi di fase I, e al contempo di stimolare alcuni enzimi di fase II, combattere i radicali liberi e indurre l’apoptosi. In più, ha la capacità di impedire l’infiammazione cronica e l’angiogenesi, nonché di frenare l’attività degli enzimi che «sciolgono» il tessuto connettivale di sostegno dei vari organi, limitando l’infiltrazione delle cellule tumorali nei tessuti sani e la loro metastatizzazione.
Sono positivi anche i risultati delle ricerche effettuate su animali.
In uno studio del 2003 (Sato e Matsushima), i ratti preventivamente nutriti con tè verde non hanno sviluppato tumori alla vescica indotti dalla somministrazione di nitrosamine (cancerogeni). In un altro del 2006 (Siddiqui), si è riscontrato il rallentamento della crescita di tumori prostatici trapiantati in topi atimici (cioè privi del timo, la sede della maturazione dei linfociti T antitumorali, e dunque senza difese immunitarie). I medesimi risultati sono stati riportati da uno studio del 2004 (Liao) per i tumori  polmonari.  In una ricerca di Orner, nel 2003, sono stati somministrati a topi tè verde, tè bianco oppure  sulindac (un antinfiammatorio non steroideo). Dopo 12 settimane, tutti e tre i gruppi avevano meno lesioni pre-neoplastiche del colon (adenomi) rispetto ai controlli. Il tè, quindi, ha dimostrato la stessa efficacia del sulindac. Somministrando tè bianco insieme con sulindac, l’effetto era ancora maggiore.
Per quanto riguarda l’uomo, in una review del 1998, Bushman ha concluso che il consumo di tè verde era inversamente correlato allo sviluppo di varie neoplasie. Nel 1997, uno studio (Imai, Suga, Nakachi) condotto  per 9 anni su 8.552 persone ultraquarantenni, durante  il quale sono morti  di tumore  153 uomini  e 109 donne, ha fatto emergere che i soggetti che consumavano più tè verde erano vissuti più a lungo (3,6 anni per gli uomini e 7,8 anni per le donne) e avevano registrato un’età di insorgenza del tumore più tardiva (3 anni per gli uomini e 8,7 per le donne). Inoltre le donne avevano in generale un rischio più basso di sviluppare tumori a polmone, colon e fegato, a causa del più alto consumo di tabacco tra gli uomini. In un altro studio del 2001 (Nagano), sono state seguite 58.540 persone per 15 anni, senza trovare una correlazione con l’incidenza di tumore (è bene notare, però, che il consumo di tè verde era la metà rispetto agli studi sopra citati). Uno studio del
2001 (Tsubono) attesta che il tè non sembra in grado di ridurre il rischio di neoplasie gastriche. Sempre nel 2001, Inoue e altri hanno reso noti i risultati di una ricerca che ha seguito per 9 anni 1.160 donne operate di tumore al seno: quelle che consumavano più tè verde presentavano una riduzione del 31 per cento del rischio di sviluppare una recidiva (più precisamente, la riduzione era pari al 57 per cento per i soggetti allo stadio I, con valori meno significa- tivi in caso di stadio II e nessun effetto negli stadi più avanzati). Tre anni dopo, un altro studio (Suzuki) non ha riscontrato  alcuna diminuzione del rischio bevendo tè verde.
Una ricerca di Li del 1999 avrebbe dimostrato che in 64 pazienti affetti da leucoplachia  orale (lesione pre-cancerosa) indotta  dal fumo, la somministrazione di capsule contenenti  polifenoli del tè verde, associata all'applicazione locale (topica)  di una miscela di tè, avrebbe ridotto del 33 per cento le lesioni, contro il 10 per cento nei casi in cui era stato assunto un placebo.
I dati contrastanti possono essere in parte spiegati dal fatto che la quantità  di polifenoli presenti  nel tè verde dipende  dal suolo di coltivazione, dall’area geografica di provenienza, dal processo produttivo e infine dalla modalità con cui è preparata la bevanda.
In studi di laboratorio è stato evidenziato che il tè verde aumenta l’azione antitumorale del chemioterapico doxorubicina e protegge i tessuti sani. Berne troppo, però, può scatenare i tipici effetti collaterali dell’eccesso di caffeina: difficoltà a dormire, minzione frequente, nausea, palpitazioni, attacchi d’ansia. Non solo: i polifenoli possono legare i nutrienti, rendendo  più difficile l’assorbimento del ferro o di alcuni farmaci.
 
http://gianlucapazzaglia.com/blog/blog/21/le-propriet-antitumorali-del-t-verde
creato il 2014-01-08 11:43:37 +0100 modificato il 2014-01-08 11:43:46 +0100 da: Gianluca Pazzaglia
Il succo di melagrana

Perché parlare proprio di succo di melagrana? Non è intuitivo  che il succo di qualunque frutto possa avere un qualche effetto preventivo? Non sembra così. Anzi, quello d’arancia è stato implicato nel costante aumento del melanoma, in quanto contiene sostanze altamente cancerogene in presenza del sole (Sayre 2008). Viceversa, la melagrana, e soprattutto il suo succo, esercita potenti effetti antitumorali: inibisce del 30-100 per cento le cellule tumorali di colon in vitro (Gil 2000), e nei topi con tumore al polmone riduce del 66 per cento le dimensioni della massa neoplastica dopo 8 mesi di trattamento (Khan 2007).
In uomini colpiti da tumore alla prostata già operati, la recidiva è individuabile grazie all’antigene prostatico specifico (Prostate Specific Antigen), ossia un marcatore tumorale. In 40 soggetti di questo tipo, con PSA in crescita, l’assunzione di succo di melagrana per 2 anni ha rallentato significativamente la progressione nell’85 per cento dei casi (Pantuck 2006).
Il succo di melagrana blocca i recettori per l’IGF-1, inibisce l’aromatasi (che trasforma il testosterone in estrogeni) e contiene una serie di antiossidanti chiamati «ellagitannini», che nell’organismo liberano acido ellagico, in grado di inibire il fattore nucleare kB, l’interruttore nucleare che accende l’infiammazione, attivando tra gli altri la cicloossigenasi-2.
 

http://gianlucapazzaglia.com/blog/blog/20/il-succo-di-melagrana
creato il 2013-12-17 18:30:55 +0100 modificato il 2013-12-17 18:30:55 +0100 da: Gianluca Pazzaglia
Angelina Jolie ci fa riflettere su ciò che crediamo

Come sapete Angelina Jolie si è sottoposta a mastectomia bilaterale preventiva in quanto portatrice del gene BRCA (BReast CAncer,tumore al seno) mutato, cioè modificato nella sua struttura tanto da renderlo inefficiente a prevenire la crescita cellulare incontrollata: in questo caso si ha un incremento del rischio di sviluppare il tumore al seno. Quando oltre dieci anni fa si è scoperto il BRCA si pensava che il 100% delle donne portatrici avrebbero sviluppato il tumore al seno; oggi quel valore è sceso al 60% anche se Angelina Jolie ha parlato dello 87%. Quale che sia il valore reale il dato da mettere in evidenza è quello che ALMENO il 13% delle donne portatrici del BRCA nel corso della propria vita NON SVILUPPERA’ MAI il tumore al seno. Il fatto importante non è quello di focalizzarci sullo 87% che può sviluppare il tumore al seno quanto piuttosto sul 13% che non lo svilupperà. Come si spiega questo fenomeno? Come può accadere? La spiegazione risiede nelle nostre credenze. Le nostre credenze, cioè ciò in cui crediamo e quindi i nostri pensieri, condizionano direttamente o indirettamente la nostra vita. Se crediamo fermamente che lo sport potrà aiutarci a prevenire il tumore (è recente uno studio che dimostra che il movimento aumenta del 50% la possibilità di sopravvivere per le donne affette da tumore al seno) allora lo praticheremo. Questo è un esempio di effetto indiretto. L’alimentazione che crediamo di dover seguire ne è un altro esempio. Ma i nostri pensieri possono influire direttamente i nostri geni, attivandoli o disattivandoli, “accendendoli” o “spegnendoli” sia quelli sani che quelli mutati. Quindi le nostre credenze e di conseguenza i nostri comportamenti, possono farci rimanere sani o ammalare. Ci possono condurre al paradiso o all’inferno già su questa terra.

http://gianlucapazzaglia.com/blog/blog/19/angelina-jolie-ci-fa-riflettere-su-ci-che-crediamo
creato il 2013-12-16 11:03:59 +0100 modificato il 2013-12-16 11:03:59 +0100 da: Gianluca Pazzaglia
Sgranocchia e vinci

In un mondo perfetto non dovrebbe succedere che le macchinette che distribuiscono snack ci chiamino per nome, che un negozio su due si chiami “pizzeria” e che la porta del frigorifero si apra per noi sul baratro della tentazione.

Ma quando tutto questo capita può fare la differenza tenere a portata di mano due cose da sgranocchiare: finocchi e ravanelli. Chi sgranocchia verdura cruda vince, per molti motivi. Intanto combatte il richiamo degli snack grassi e zuccherati, poi fa il pieno di principi naturali utili per la salute, si sazia senza appesantirsi e da ultimo... per chi resiste e abbandona lo zucchero c’è in serbo l’esplosione di gusto di frutta e verdura che normalmente le nostre papille gustative “drogate” dai carboidrati semplici non riescono nemmeno ad apprezzare!

http://gianlucapazzaglia.com/blog/blog/4/sgranocchia-vinci
creato il 2012-06-14 21:43:21 +0200 modificato il 2013-12-13 15:51:22 +0100 da: Gianluca Pazzaglia
Non ci credo: non mangio niente e ingrasso!

E‘ stato fatto un ingegnoso esperimento in cui alcune persone venivano fatte mangiare da una scodella di minestra che si riempiva automaticamente, non diventava mai vuota, per dimostrare che di fronte al cibo quello che facciamo e quello che crediamo di fare spesso sono profondamente diversi.

Una scrittrice tedesca ironicamente dettava delle proprie regole in cui affermava che ad esempio il cibo mangiato in piedi o davanti alla tv sia “privo di calorie”. E’ assurdo ma di fronte al cibo prevalgono dei nostri aspetti irrazionali e la nostra parte animale che ci spingono a comportamenti condivisi con…. i polli!

Mangiamo di più se vediamo più cibo a disposizione, ci sentiamo sazi più tardi mangiando da una scodella che non si svuota. Spesso consideriamo irrilevante e inesistente il cibo che mangiamo facendo altre attività o in momenti di intenso disagio emotivo.

Prima di scomodare ormoni e rare patologie propongo alle mie pazienti di fare un semplice esercizio: scrivere TUTTO quello che mettono in bocca durante il giorno, e le sorprese non sono poche!

http://gianlucapazzaglia.com/blog/blog/6/non-mangio-ingrasso
creato il 2012-06-16 21:40:01 +0200 modificato il 2013-12-11 18:36:23 +0100 da: Gianluca Pazzaglia
Non ci credo: non ho tempo per fare esercizio fisico

Prima ancora di cominciare a leggere ti chiedo di sospendere un attimo la lettura e scrivere rapidamente le prime cinque cose che ti vengono in mente che non hai tempo di fare.

Fatto? Magari una di queste è anche l’esercizio fisico, malgrado tu sappia quali sono i suoi benefici.

Mi capita spesso di sentire persone che si lamentano molto per questa mancanza di tempo, in una vita frenetica e opprimente, che non consente loro di fare diversamente.

Ma prova ora a scrivere in cima alla tua lista questa frase: NON HO VOGLIA.

Come suona? Io non credo che faccia sport solo chi ha tanto tempo libero, solo chi si annoia, credo piuttosto che bisogna cercare una attività fisica che davvero piaccia fare e magari il supporto di un amico, di una amica con cui condividere l’impegno sportivo nei momenti in cui la voglia non c’è.

Sono sicuro che cercando saprai trovare la soluzione migliore per  te e per la tua vita.

D’altro lato trascurando il corpo arriva un momento in cui questo ti chiederà tempo e attenzioni, magari non piacevoli come l’attività sportiva!

http://gianlucapazzaglia.com/blog/blog/8/esercizio-fisico
creato il 2012-06-18 21:35:57 +0200 modificato il 2013-12-09 16:16:13 +0100 da: Gianluca Pazzaglia
Quanta attività fisica?

Fare poca attività fisica è nocivo per la salute ma anche troppa attività fisica fa male!
Come regolarsi allora?
--Per i primi mesi pratica la camminata in salita respirando normalmente con il naso (non devi avere assolutamente il fiatone) oppure se vuoi camminare in piano pratica la camminata nordica cioè il nordic walking (la camminata coi bastoncini: sarebbe il caso di prendere qualche lezione).
--Fallo per SOLO30 minuti al giorno. Se per un qualche motivo non ti è possibile comincia con 10 minuti al giorno e ogni due giorni aumenta di 1 minuto
--Solamente dopo un po’ di tempo, magari qualche mese, che hai praticato attività fisica in questo modo, potrai andare in palestra ad esempio a sollevare pesi (sempre facendoti seguire da un allenatore).
 

http://gianlucapazzaglia.com/blog/blog/18/quanta-attivit-fisica
creato il 2013-12-06 18:11:06 +0100 modificato il 2013-12-06 18:12:10 +0100 da: Gianluca Pazzaglia
Mangé mangé non sa chi ve mangià

De Andrè riporta questa frase in una sua canzone citandola in dialetto: mangiate, mangiate ma non sapete chi vi mangerà.

Con la potenza del proverbio illustra quello che succede all'uomo moderno nei confronti del tumore.

Biologicamente, con un delicato meccanismo in cui entra in gioco l'ormone insulina, ogni volta che mangiamo alimenti ad "alto indice glicemico" aumentiamo nel nostro corpo la produzione di insulina per smaltire tutti i nutrienti che immettiamo. Nel tempo occorre sempre più insulina per smaltire tali nutrienti, che restano per più tempo disponibili nel nostro corpo.

Si dice che diventiamo "insulino-resistenti". E chi ne approfitta? Le cellule tumorali che non subiscono  l'effetto dell'insulina (non diventano mai insulino-resistenti) e crescono mangiando l'eccesso di quello che noi abbiamo mangiato. In eccesso.

http://gianlucapazzaglia.com/blog/blog/9/mange
creato il 2012-06-19 21:33:37 +0200 modificato il 2013-12-03 15:56:28 +0100 da: Gianluca Pazzaglia
La Sindrome dell’intestino irritabile (IBS Irritable Bowel Syndrome), la SIBO (Small Intestinal Bacterial Overgrowth) e il Morbo Celiaco

Sempre più spesso si sente dire che dall’avvento dell’agricoltura, circa 10000 anni fa, il nostro patrimonio genetico è mutato dello 0,1% per cui i nostri geni sarebbero ancora quelli dell’uomo primitivo e come lui dovremmo cibarci di verdura, frutta, carne e pesce. Tuttavia recenti ricerche suggeriscono che come razza umana ci stiamo evolvendo più velocemente che in qualunque altra epoca. L’accensione o lo spegnimento di certi geni è ancora più veloce: si parla di epigenetica, cioè di quell’insieme di comportamenti che sono in grado di agire direttamente sull’attività dei geni. Alcune popolazioni quali quelle della mezzaluna fertile sono maggiormente adattate al consumo dei cereali perché la loro coltivazione è cominciata là: durante il Neolitico si è sviluppata la coltivazione delle colture fondamentali, il grano einkorn e il grano emmer (le due forme più antiche di grano), l’orzo, il lino, il pisello, il cece, la lenticchia, la veccia amara. C’è poi da considerare che il grano di oggi contiene circa il 50% di glutine in più rispetto ad appena 50 anni fa ed ancor più rispetto al grano antico. Una maggiore quantità di glutine rende la farina mescolata all’acqua più coesa e malleabile per produrre tutta la varietà di cibi che conosciamo oggi. Tuttavia anche il grano antico rappresentava un problema per alcune persone come dimostra il fatto che il morbo celiaco era conosciuto almeno dal 250 AC. Ad ogni modo il consumo del grano antico era comunque modesta in quanto i chicchi erano pochi e  più piccoli ed erano protetti da un involucro resistente. Pertanto occorreva falciarlo con strumenti rudimentali, e far uscire a mano il seme che poi andava macinato a pietra per produrne farina. Molto lavoro e poca resa. Il grano einkorn (che significa “a singolo seme”) aveva 14 cromosomi ed inizialmente si è incrociato con un’erba dei campi dando origine al grano emmer, il grano biblico, a 28 cromosomi. Incroci naturali nel tempo hanno dato luogo ad altre varietà di grano come il farro ed il kamut e fino al 1950 il grano aveva 42 cromosomi ed era alto 120-150 centimetri. Poi negli anni 60 il timore di una carestia mondiale portò, attraverso ibridazioni, a sviluppare il grano moderno alto 60-90 centimetri, con semi più grandi e privi di involucro a maggior facilità di raccolta e più alta resa (circa 10 volte tanto). Tutto ciò al prezzo della più grande sperimentazione su scala mondiale degli effetti di un nuovo cibo. Tradizionalmente, le proteine dei cereali vengono distinte in due frazioni: la frazione solubile in soluzione alcolica, costituita dalle prolammine (ricche degli aminoacidi prolina e glutammina, da cui il nome) e la frazione parzialmente solubile in soluzione alcalina, costituita dalle glutenine. Le prolammine dei diversi cereali assumono nomi differenti: gliadina nel frumento, ordeina nell’orzo, avenina nell’avena, secalina nella segale, zeina nel mais ed orizina nel riso. Il glutine del grano è un complesso proteico costituito da gliadina e glutenina.

Le prolammine consistono in numerose frazioni proteiche: α, β, γ, ed ω. Secalina e ordeina presentano solo le frazioni ω e γ, mentre la gliadina ha due frazioni aggiuntive, α e β. L’avenina è strutturalmente differente dalle prolammine degli altri cereali. Le frazioni α ed ω sono le più “tossiche”. Oltre la gliadina, sono ritenute “tossiche” per i soggetti celiaci anche altre prolammine, quali l’ordeina e la secalina, mentre l’avenina dell’avena viene di solito ritenuta tollerabile, in piccola quantità, dai pazienti celiaci, anche se i risultati sperimentali ottenuti sono piuttosto controversi. Ad ogni modo i processi produttivi e soprattutto di stoccaggio dell’avena la possono contaminare col grano rendendola per questa via altrettanto tossica. Le prolammine sono resistenti agli enzimi digestivi per cui rimangono intatte. Tutti i cereali, i semi ed i legumi contengono alcune proteine indigeribili. I semi sono la parte riproduttiva delle piante ed è per questo motivo che sono indigeribili: gli animali mangiando la pianta possono poi disperderne i semi-non digeriti-attraverso le loro feci.

Come si sviluppa il morbo celiaco
Abbiamo precedentemente visto che la cavità intestinale è una continuazione del mondo esterno e nulla può filtrare tra cellula e cellula, grazie alle giunzioni intercellulari. Ogni volta però che consumiamo cibi che contengono gliadina essa si lega al recettore (il CXCR3) presente sulla superficie delle cellule dell’intestino come una chiave in una serratura, viene reclutata una proteina (la MYD88) che induce la produzione di un’altra  proteina chiamata zonulina che agisce sulle giunzioni tra cellula e cellula riducendone la coesione. Questo fenomeno è fisiologico ma in persone predisposte la quantità dei recettori è maggiore e con essa la produzione di zonulina. E’ chiaro che i nostri geni non sono riusciti completamente ad adattarsi a modifiche alimentari molto recenti quali il consumo di una maggior quantità di grano tra l’altro a più elevato contenuto di glutine. Molto importante è sapere che la zonulina viene prodotta anche in caso di SIBO. La riduzione della coesione intercellulare consente a molecole alimentari non completamente digerite di passare tra un enterocita e l’altro e giungere nel sangue. Si tratta ovviamente di un percorso non fisiologico ed in questi casi si parla di “sindrome dell’intestino permeabile”, in quanto viene meno la funzione di filtro esercitata dalla parete dell’intestino. Ecco che molecole indigerite come la gliadina (o quelle di altri cibi) possono passare tra una cellula e l’altra e giungere nel flusso sanguigno. Qui incontra l’enzima trans-glutaminasi che ha un ruolo nella coagulazione del sangue (in realtà la trans-glutaminasi è ubiquitaria in quanto la si ritrova in tutti i tessuti corporei), interagisce con essa deamidandola, cioè rendendola più solubile in acqua e permettendole così di legarsi alle cellule, prime tra tutte quelle immunitarie. Si scatena così il morbo celiaco, che di fatto è una malattia autoimmunitaria.
Il morbo celiaco potrebbe essere la condizione che sottostà ad ogni reazione autoimmune o ad ogni azione in cui è coinvolto il sistema immune. In queste malattie i livelli intestinali e plasmatici di zonulina sono accresciuti. Livelli aumentati si riscontrano anche nell’asma ed in alcune neoplasie. Recentemente si è visto che la SIBO molto spesso precede l’insorgenza del morbo celiaco. Potrebbe essere allora la SIBO la condizione da cui poi origina tutto?

L’epigenetica ci ha fatto comprendere che i nostri geni non sono il nostro destino, e che i nostri comportamenti possono accendere o spegnere i geni. Quasi tutto ha un’azione epigenetica, non soltanto il glutine: i batteri, le sostanze nocive, lo stress, i pensieri, le emozioni.

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creato il 2013-12-03 10:18:19 +0100 modificato il 2013-12-03 10:18:19 +0100 da: Gianluca Pazzaglia
La Sindrome dell’intestino irritabile (IBS Irritable Bowel Syndrome), la SIBO (Small Intestinal Bacterial Overgrowth) e il Morbo Celiaco

Iniziamo una panoramica sugli alimenti più frequentemente coinvolti nel determinare la SIBO:
-lattosio
-fruttosio
-amidi
-polioli
-fibre

Lattosio
Intolleranza al lattosio o malassorbimento del lattosio sono sinonimi ed indicano l’incapacità a digerire ed assorbire il lattosio. Con l’età questa capacità si riduce anche se meno nei popoli nord-europei rispetto al resto del mondo. La diagnosi può essere fatta col test dell’idrogeno oppure andando a misurare dopo alcune ore i livelli ematici di glucosio indicativi di quanto il lattosio è stato convertito in glucosio e poi assorbito: se i livelli sono bassi c’è intolleranza al lattosio. A volte ridurre la quantità di lattosio ingerita (meno di 10 grammi) è sufficiente a lenire i sintomi; In altri casi occorre astenersi dal consumo e/o assumere integratori di lattasi (enzima che scinde il lattosio). Il latte è l’alimento che contiene più lattosio mentre yogurt e formaggi fermentati sono quelli che ne contengono meno perché appunto il lattosio è stato fermentato (cioè digerito) dai batteri presenti nel cibo. Lo yogurt infatti contiene lattasi e quindi può essere assunto anche come integratore di lattasi, anche se in parte viene distrutta nello stomaco.

Fruttosio
Essendo il fruttosio un monosaccaride in questo caso il problema risiede nell’assorbimento che avviene attraverso un meccanismo assai meno efficiente rispetto a quello per il glucosio (si parla di “diffusione facilitata” in cui il fruttosio si lega ad una proteina trasportatrice, denominata Glut5, la cui carenza è alla base del malassorbimento del fruttosio). L’assorbimento è più efficiente in caso di concomitante presenza di glucosio: questo spiega perché il saccarosio (una molecola di fruttosio ed una di glucosio) è meglio assorbito rispetto al fruttosio puro. La diagnosi viene fatta col test dell’idrogeno. La terapia consiste nell’evitare il fruttosio ed i fruttani che di fatto si comportano come fibre.
Il fruttosio è ampiamente utilizzato dall’industria alimentare e si ritrova anche nel saccarosio, nel miele (circa 50% fruttosio e 50% glucosio), nello sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio (più del 50%) ed in generale nei dolcificanti a base di mais, nello sciroppo di acero, nella melassa.

Amidi
Per anni si è pensato che gli amidi fossero completamente digeriti ed assorbiti, ma studi col test all’idrogeno hanno dimostrato che dal 10% al 20% degli amidi non lo sono: si parla di “amidi resistenti”. Probabilmente la percentuale sale in persone affette da disturbi digestivi. Amidi resistenti si trovano nei cereali (grano e prodotti come pane e pasta), legumi, semi, noci, molte varietà di riso, mais, molte varietà di patata, alcuni frutti come le banane acerbe. Cotti poco oppure cotti e mangiati freddi contengono più amidi resistenti. Molti fattori entrano in gioco nel rendere un amido resistente, ma in particolare il rapporto quantitativo tra amilosio (difficile da digerire) ed amilopectina (più facile). Per avere un’idea del contenuto in amilosio e amilopectina è sufficiente guardare l’indice glicemico degli alimenti (vedi oltre): maggiore è l’indice glicemico maggiore è l’assorbimento ed il contenuto in amilopectina (ma maggiore anche la produzione di insulina che ci fa ingrassare). Ad alto indice glicemico sono il riso asiatico per il sushi (98%) ed il riso jasmine ed alcune varietà di patata, mentre a basso indice glicemico sono il riso basmati (58%), la pasta, molti prodotti a base di grano, mais, avena e orzo, molte patate e le banane. Interessante è notare a questo proposito che il 30% o più della popolazione occidentale è affetta da SIBO contro il 10% di quella asiatica. I batteri del colon sono in grado di digerire l’amilopectina e l’amilosio mentre quelli del tenue digeriscono disaccaridi e monosaccaridi. Piccole quantità di amidi resistenti non sono un problema per persone senza difficoltà digestive, ma il consumo di quantità significative soprattutto in persone con disturbi digestivi può portare alla SIBO. Tutto questo non ha nulla a che vedere col glutine: cibi privi di glutine contengono amidi resistenti e questo spiega perché pazienti celiaci mantenuti con una dieta priva di glutine possono ancora accusare sintomatologia gastrointestinale. Per la diagnosi teoricamente si potrebbe ricorre al test dell’idrogeno oppure al test che registra l’innalzamento del glucosio ematico dopo la somministrazione di una soluzione a base di amidi, ma in pratica tale test non è ancora stato messo a punto. La terapia consiste nell’evitare di assumere amilosio, cosa piuttosto complessa.
Fibre
La fibra ha una reputazione invidiabile. Tuttavia gli studi che ne dimostrano le doti sono studi osservazionali-ad esempio i popoli che consumano più fibra hanno meno tumori al colon-indicando un’associazione tra i due fattori ma non necessariamente un nesso di causa effetto. Cioè non è sicuro che il consumo di fibra riduca il rischio di tumori al colon. I popoli che consumano fibra infatti potrebbero essere ad esempio quelli che praticano più attività fisica riducendo per questa via il rischio di tumore. Senza considerare che gli studi più recenti, sempre  osservazionali, non hanno dimostrato riduzione del tumore al colon dal consumo di fibra. Di converso la fibra essendo indigeribile viene fermentata dai batteri favorendo lo sviluppo di SIBO. La cosa sorprendente è che il consumo di fibra è una delle terapie maggiormente consigliata in caso di sindrome dell’intestino irritabile, quando invece gli studi dimostrano che la sua rimozione ne migliora la sintomatologia. Non esiste un test specifico per le fibre in quanto per definizione sono indigeribili.

Polioli
Vengono usati dai diabetici perché scarsamente digeriti ed assorbiti.

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creato il 2013-12-02 10:42:56 +0100 modificato il 2013-12-02 15:39:07 +0100 da: Gianluca Pazzaglia
La Sindrome dell'intestino irritabile(IBS Irritable Bowel Syndrome)

QUANDO LA DIETA E’SBAGLIATA I FARMACI SONO INEFFICACI; QUANDO LA DIETA E’CORRETTA I FARMACI SONO INUTILI

(Proverbio Ayurvedico)

Da oltre 20 anni faccio il medico e le domande che più frequentemente mi vengono poste riguardano l’alimentazione.

Questa curiosità è dovuta a tre fattori: comprendere quanto il cibo possa essere causa dei nostri malanni, quindi a scopo puramente preventivo, per ridurre il sovrappeso oppure infine per la presenza di disturbi all’apparato gastro-intestinale. Quanti di noi hanno acidità allo stomaco? Quanti reflusso gastro-esofageo? E quanti gonfiore addominale oppure costipazione oppure diarrea? Tantissimi, è la risposta. Io sono uno di loro e mi trovo a scrivere di questo argomento proprio in quanto ne ho ampiamente sofferto negli anni. Anzi sono fermamente convinto, come anche si comprenderà proseguendo nella lettura, che alla base di una infinità di disturbi non direttamente riconducibili all’apparato gastro-intestinale ci sia proprio un sistema digestivo non in ordine. Lo dicevano i vecchi medici. Non ci credevo. Oggi mi sono arreso all’evidenza.

 

Nella genesi della IBS e della SIBO (che sono all’incirca la stessa cosa) sono coinvolti i carboidrati non digeriti ed assorbiti, mentre nella genesi del morbo celiaco sono coinvolte le proteine (il glutine per la precisione).

Cominciamo con la cosiddetta “Sindrome dell’intestino irritabile”. A suo carico se ne sono dette di tutti i colori: che era dovuta ad un disordine della motilità intestinale, oppure ad una incongrua interazione cervello-intestino (una forma di patologia psicosomatica), oppure ancora ad una infiammazione cronica, alla sovracrescita del fungo Candida albicans, alle allergie o alle intolleranze alimentari, e così via. Nel 1998 il dr. John Hunter pubblicò una ricerca che collegava la sindrome dell’intestino irritabile ad una eccessiva crescita dei batteri intestinali. Attraverso la misurazione del gas intestinale scopri che chi ne era affetto ne produceva una maggiore quantità. Ciò ne avrebbe potuto spiegare la sintomatologia. Non solo. Infezioni gastrointestinali o l’uso di antibiotici, squilibrando la flora intestinale, erano spesso antecedenti l’insorgenza della sindrome. Il dr. Mark Pimentel la chiamò SIBO (Small Intestinal Bacterial Overgrowth cioè sovracrescita batterica nel piccolo intestino) e scoprì che il 78% delle persone affette da sindrome del colon irritabile erano affette anche da SIBO e che dando loro antibiotici specifici registravano un miglioramento della sintomatologia. Le specie batteriche riscontrate nella SIBO erano quelle che tipicamente colonizzano il piccolo intestino, solamente molto più numerose, ma anche specie di pertinenza del grosso intestino che qui erano migrate. Questa duplice combinazione batterica è in grado di produrre sostanze nocive che a loro volta danneggiano la parete intestinale infiammandola. Ma cosa ha determinato la eccessiva crescita batterica? La risposta risiede nella ridotta capacità a metabolizzare alcuni carboidrati che fungono così da pasto per i batteri. Cosa a sua volta ha creato questa condizione? Probabilmente lo stress che inducendo una sorta di immunodepressione ha favorito lo sviluppo batterico oppure danneggiando la parete intestinale l’ha depleta degli enzimi necessari alla digestione dei carboidrati. Sta di fatto che una volta instauratasi questa condizione non fa altro che autoperpetuarsi: i carboidrati indigeriti nutrono i batteri le cui tossine infiammano l’intestino le cui cellule diventano ancora meno capaci di produrre gli enzimi necessari alla digestione dei carboidrati.

DIAGNOSI

Il test più attendibile è quello di prendere un campione di flora batterica intestinale e coltivarla in laboratorio. Ma è anche il test più invasivo e laborioso.

Il dr. Pimentel sviluppò un test ingegnoso. Il corpo umano non produce idrogeno, per cui qualora se ne trovi in un campione biologico è di sicura provenienza batterica. Dopo una notte di digiuno viene somministrata una soluzione dello zucchero lattulosio e successivamente ogni 15 minuti per 3 ore consecutive vengono presi campioni del respiro del soggetto alla ricerca di idrogeno. Le persone non affette da SIBO hanno un picco di idrogeno dopo 2 ore quando il lattulosio è giunto nel grosso intestino dove viene normalmente fermentato. Quelle affette da SIBO invece presentano un picco di idrogeno dopo circa 90 minuti ad indicare un’anomala fermentazione del lattulosio nel piccolo intestino. Al posto del lattulosio possono poi essere impiegati carboidrati specifici, come fruttosio, lattosio o amido, per andare a ricercare ancora una volta il picco precoce di idrogeno indicativo di non digestione dello specifico carboidrato e quindi di non assorbimento, con sua successiva fermentazione nel piccolo intestino indicativa di SIBO. Se viceversa lo specifico carboidrato viene propriamente digerito ed assorbito dall’intestino non si ha sviluppo di idrogeno.

http://gianlucapazzaglia.com/blog/blog/15/la-sindrome-intestino-irritabile
creato il 2013-11-25 18:12:18 +0100 modificato il 2013-11-26 18:28:59 +0100 da: Gianluca Pazzaglia
Vitamina D: quali valori per la prevenzione

Da questo schema è chiaro che con i "valori normali" di vitamina D si ottiene solo la prevenzione del rachitismo. Bisogna invece puntare ai valori ottimali per garantire la prevenzione!

http://gianlucapazzaglia.com/blog/blog/14/vitamina-d-quali-valori-per-l-prevenzione
creato il 2013-11-20 11:23:32 +0100 modificato il 2013-11-26 18:22:31 +0100 da: Gianluca Pazzaglia
La vitamina D

Personalmente credo che le soluzioni ai problemi siano semplici. Sicuramente più semplici del problema che vanno a risolvere, altrimenti lo complicano.

La vitamina D agisce nel senso della semplicità.

Spesso si sente dire che una certa sostanza fa una certa cosa salvo poi sentire o leggere tempo dopo che fa l’esatto contrario. Prima si legge che fa bene; tempo dopo che fa male.

Come si spiega tutto ciò?

Questo fenomeno spesso è dovuto al fatto che molti studi scientifici sono di tipo osservazionale. Registrano cioè un’osservazione: ad esempio i popoli che mangiano più carne hanno più tumori al colon. Questa è un’osservazione che però non ci dice se la carne causa il tumore al colon. Non solo ma i popoli che consumano più  carne potrebbero fumare di più o muoversi di meno ed essere queste le cause del tumore al colon. Oppure tutte le condizioni messe assieme.

Vecchi studi osservazionali hanno riscontrato meno tumori tra coloro che consumano più frutta e verdura. Studi osservazionali recenti ridimensionano il fenomeno.

Per questa via giungere a conclusioni certe non è facile.

Almeno fino a quando non si eseguono studi cosiddetti a doppio cieco in cui né il medico che somministra una certa sostanza né il paziente che la assume sono a conoscenza di cosa si tratti.

Questo tipo di studio per la vitamina D è stato già condotto nel 2007 ed ha dimostrato un fatto clamoroso: assumere vitamina D (assieme al calcio nello studio) riduce del 77% l’insorgenza dei tumori. Penso che sia una informazione estremamente importante, direi rivoluzionaria.

A questo punto c’è da chiedersi se abbiamo bisogno di introdurre vitamina D, se non sia già sufficiente quella che produciamo esponendoci alla luce solare oppure che assumiamo col cibo. Vi risparmio tutte le dissertazioni relative al fatto che stiamo poco tempo all’aperto, che c’è “l’effetto serra”, che ci proteggiamo coi filtri solari, etc. Vi voglio solo rammentare che tumori e malattie autoimmuni aumentano progressivamente andando dall’equatore verso i poli e che l’America è attraversata dal 37 parallelo terrestre: al di sopra di questa linea immaginaria tumori e malattie autoimmuni raddoppiano di numero.

Per sapere poi se proprio noi siamo carenti basta dosare nel sangue la 25-idrossi-vitamina D: i valori normali (fino a 24 ng/ml), prevengono solamente il rachitismo. Valori ottimali (40-60 ng/ml) consentono invece di prevenire numerose malattie.

Pertanto per sapere se dobbiamo assumere o no vitamina D è sufficiente un semplice esame del sangue.

La vitamina D è quindi una soluzione estremamente semplice per ridurre significativamente il rischio di sviluppare un tumore.

http://gianlucapazzaglia.com/blog/blog/13/la_vitamina_d
creato il 2013-11-18 19:19:14 +0100 modificato il 2013-11-19 16:17:10 +0100 da: Gianluca Pazzaglia
VERSO UNA MEDICINA ECOSOSTENIBILE

Quando ho cominciato ad occuparmi di prevenzione del tumore al seno mi sarei aspettato una medicina completamente diversa.

Innanzitutto mi sono reso conto delle difficoltà. Andare a scoprire il tumore al seno quando è piccolo è difficile: può avere molte forme diverse; può simulare un nodulo benigno; può trovarsi in mezzo a tanti altri noduli del tutto simili; può non formare un nodulo;  può non formare niente e quindi essere invisibile; può essere riscontrato per caso facendo una biopsia per un altro nodulo…

La seconda spiacevole sorpresa è stata che con le indagini senologiche scopriamo più tumori e non tutti si sarebbero manifestati nel corso della vita della persona interessata. Ma non abbiamo mezzi per distinguere questi ultimi da quelli pericolosi. Pertanto li sottoponiamo entrambi a chirurgia, a radioterapia, a chemioterapia…

Eppure avrei pensato che la prevenzione significasse meno noduli, meno chirurgia, meno radioterapia, meno chemioterapia…

Invece avviene l’esatto contrario. Perché? Perché le indagini senologiche rappresentano la prevenzione secondaria, cioè scoprono il tumore quando già si è formato. Non fanno nulla per impedire che nasca.

Ed ecco che oggi si parla di tumori sempre più curabili, di terapie sempre più innovative ma intanto il numero di tumori cresce. E l’età di insorgenza si abbassa. Perché non facciamo nulla, o molto poco per ridurre il numero dei tumori? Perché non ci attiviamo per ridurre il rischio?

Senza poi contare che l’incremento del numero dei tumori, richiedendo più accertamenti diagnostici e più trattamenti terapeutici, fa lievitare i costi.

Ecco allora prospettarsi all’orizzonte la medicina ecosostenibile. Una medicina cioè che si occupi della prevenzione primaria, di quei fattori che possono ridurre l’insorgenza dei tumori.

La medicina ecosostenibile si occuperà degli stili di vita, dei comportamenti, di quelle misure atte a far star bene la gente e ad impedire che si ammali. In questo modo sarà una medicina del risparmio sia di danaro che dell’ambiente. Sarà una medicina in equilibrio con la natura. Sarà una medicina ecologica. Sarà una medicina del ritorno alle tradizioni, del ritorno alle origini. Sarà una medicina che ci insegnerà che meno è meglio che più. Che semplice è bello. Che semplice è efficace. Sarà una medicina che ci affrancherà dallo stress. Che ci farà riscoprire i valori. Le nostre cellule lo sanno.

Se mettiamo una cellula in coltura assieme ad una sostanza nociva la cellula si allontanerà. Se ci mettiamo del cibo si avvicinerà. Così noi ci allontaniamo dal dolore vivendo nella paura; oppure ci avviciniamo alla luce vivendo nell’amore.

Qualunque azione facciamo o ci allontana dal bene e dalla salute oppure ci avvicina.

La medicina ecosostenibile sta arrivando e farà tutto questo.

http://gianlucapazzaglia.com/blog/blog/12/verso_una_medicina_ecosostenibile
creato il 2013-11-18 16:38:41 +0100 modificato il 2013-11-18 16:38:41 +0100 da: Gianluca Pazzaglia
La crisi della medicina

La medicina è sulla soglia di un grande cambiamento. Sta per mettersi in moto infatti la più grande rivoluzione nella storia della medicina moderna.

Tutto parte dalla constatazione che sempre più persone sono ammalate. Prendiamo il caso del tumore al seno. La mortalità seppur lentamente sta diminuendo. Ma che dire dell’incidenza, cioè del numero di nuovi casi? Purtroppo stanno aumentando, soprattutto nelle fasce più giovani. Alla luce di ciò il precedente risultato perde molto di importanza. E’ ben poca cosa infatti guarire più tumori quando questi sono in aumento. Ce ne sono di più ma li curiamo meglio. Sarebbe invece auspicabile un decremento del loro numero.

Il caso del tumore al seno è paradigmatico: curiamo i sintomi, estirpando il tumore, ma non ci domandiamo nulla sulle cause. E di conseguenza non facciamo nulla in tal senso. Oppure l’ipertensione: abbassiamo la pressione coi farmaci ma non ci chiediamo perché si è alzata. Oppure la sindrome del colon irritabile: si usano antispastici o antidiarroici ma le cause?

Curarsi con la medicina non convenzionale a volte può rappresentare un passo in avanti. Quanto meno si impiegano sostanze che hanno minor probabilità di indurre effetti collaterali. Talora però anche in questo caso vengono impiegati rimedi in senso sintomatico: si userà ad esempio una pianta al posto di un farmaco, si elimineranno i sintomi ma le cause resteranno ignote.

Nel mio cammino di medico mi sono rapidamente reso conto che mediante i controlli senologici potevo, nella migliore delle ipotesi, ridurre la mortalità per tumore al seno ma non facevo nulla per ridurne l’incidenza, cioè per ridurre il rischio di svilupparlo; mentre come paziente ho presto capito che i sintomi erano la spia di un malessere più profondo e che le cause erano da ricercare altrove rispetto all’organo che quei sintomi manifestava. Cioè i sintomi e l’organo sintomatico erano solo l’ultimo anello, quello più debole, di una catena.

Un primo passo in avanti è avvenuto con la constatazione che, in linea di massima, più invecchiamo più ci ammaliamo. Quindi rallentare l’invecchiamento biologico riduce la probabilità di ammalarsi. A questo punto logica conseguenza è stata quella di indagare sui meccanismi dell’invecchiamento. Esistono a tal proposito molte teorie ma la più accreditata è quella dell’endocrino-senescenza: invecchiamo perché le ghiandole endocrine col tempo producono sempre meno ormoni.

Restituire gli ormoni perduti sarebbe stata la soluzione. Purtroppo pur utilizzando ormoni “naturali”, cosiddetti perché naturalmente prodotti dal nostro corpo, non sempre i risultati erano quelli desiderati. Oltre al fatto che restituire i tanti –troppi- ormoni carenti spesso creava contrasti tra ormone ed ormone.

Il passo successivo è stato quello di andare alla ricerca di un nucleo ristretto di ormoni e/o di organi chiave, dalla cui disfunzione a cascata seguiva la riduzione della produzione ormonale (l’endocrino-senescenza) e da ultimo la sintomatologia dell’organo più debole (la malattia così come la conosciamo).

http://gianlucapazzaglia.com/blog/blog/11/la_crisi_della_medicina
creato il 2013-11-11 16:04:59 +0100 modificato il 2013-11-11 16:04:59 +0100 da: Gianluca Pazzaglia
La diagnostica del mio seno

Tendiamo a definire "mio" ciò che ci piace. Il mio cuore, mio figlio (ma se
si comporta male è TUO figlio!).

Luis Chiozza ("Perché ci ammaliamo?", Borla 1988) diceva che quando un organo si ammala tendiamo a non riconoscerlo come proprio.

Diciamo “ho mal di testa”, “ ho mal di stomaco” e non diciamo “la mia testa” o “il mio stomaco” come se volessimo allontanarli da noi.

La prevenzione delle malattie del seno mediante la buona pratica di esami frequenti (vedo le mie pazienti almeno ogni 6 mesi) mi porta ad osservare che molte donne sono preoccupate dall’esito di tali esami al punto che mi dicono che evitano di fare l’autopalpazione perché è fonte di ansia.
 
Vorrei  sottolineare quanto invece è importante che ogni donna si
"riappropri" del suo seno, che la presenza di indagini strumentali non porti
a pensare che il seno è qualcosa da allontanare da noi perché se ne occupa un medico.

Per il benessere della donna un auto massaggio al seno favorisce
l'eliminazione delle tossine ed è benefico per la salute del seno e della
donna stessa.
 
Perciò il mio invito a ogni donna è quello di "riprendersi" il proprio seno,
di considerarlo “mio seno” e di praticare frequentemente autopalpazione e auto massaggio.

http://gianlucapazzaglia.com/blog/blog/10/diagnostica_del_mio_seno
creato il 2012-06-20 19:33:50 +0200 modificato il 2012-07-23 16:18:14 +0200 da: Gianluca Pazzaglia
dott. Gianluca Pazzaglia

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Ogni anno diventiamo più forti davanti al tumore, i dati lo dimostrano. Ma una diagnosi di cancro fa ancora paura... (leggi)

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